Cascina Castagnola, 2 - San Giorgio Canavese (TO)

Il Terroir

Il terreno

Le peculiarità dei nostri vini sono collegate alle caratteristiche del clima e dei terreni ove sono impiantati i nostri vigneti e alle particolari tecniche e tradizioni che risiedono in noi.

La culla e la casa della denominazione erbaluce di Caluso è rappresentata dall’anfiteatro morenico di Ivrea. E’ stato costruito dal ghiacciaio discendente dalla Valle d’Aosta durante il Pleistocene.
I suoli si formarono dai detriti che furono trasportati e collocati dal ghiacciaio tra 900.000 e 19.000 anni fa, durante dieci periodi glaciali. Il suolo così formato è ricco di scheletro e costituito principalmente da Sabbia, Sassi e Ciottoli.
La valle della attuale Dora Baltea è l’unica ad essere scavata attraverso tutte le grandi placche tettoniche delle Alpi.
Per questa ragione l’anfiteatro morenico di Ivrea mostra una varietà di minerali più ampia rispetto a altri anfiteatri delle Alpi, con una ricca presenza di rocce metamorfiche sia silicatiche che carbonatiche.
Questa particolare ricchezza di minerali conferisce ai vini una sapidità particolarmente ricca di sensazioni minerali.

Il territorio dove si coltiva l'Erbaluce
I vigneti del Canavese

L’Anfiteatro Morenico di Ivrea

Visto più in dettaglio, l’anfiteatro morenico di Ivrea è formato da rilievi bassi in forma di altopiano soprattutto sul versante meridionale, si coltiva Erbaluce tra 200 e oltre i 500 mt slm.
Le zone vitate sorgono su terreni acidi e sciolti, di matrice molto recente e con buono scheletro, composti di sabbia, ciottoli e pietre e in minima parte di limo e argilla.
Sono terreni poveri che stimolano poco la crescita della pianta. Tuttavia man mano che le radici delle viti si approfondiscono trovano negli strati inferiori terreno più ricco, in alcuni casi anche con discrete percentuali argillose.

Il vitigno

Origini del vitigno Erbaluce

Le prime notizie del vitigno Erbaluce risalgono al 1606; esso è stato menzionato da Giovan Battista Croce, gioielliere presso il duca Carlo Emanuele I, con il nome di «Elbalus».

Riguardo alle sue origini, nel corso del tempo si sono formulate varie ipotesi:
1) Che discenda del Greco di Bianco e sia giunto in Canavese al seguito dell’esercito Romano dopo essere Partito dalla Tessaglia e transitato in Magna Grecia.
2) Che discenda dalla Clairette Blanche francese (diffusa in Cote du Rhone), e sia quindi imparentato con l’Airen spagnolo e il Rhoditis Greco, e sia poi giunto in Canavese nel periodo di Carlo Magno.
3) Che si tratti di un vero vitigno autoctono canavesano, legato all’uva Rhaetica o Raetica, già citata all’epoca di Plinio il Vecchio (I sec. d.C.).

Caratteristiche del vitigno Erbaluce

Il bel nome antico del vitigno, Albalux, pare derivi dal colore che assumono gli acini in autunno: i riflessi rosati e caldi si fanno più intensi, ambrati, nelle parti esposte al sole.

L’Erbaluce è uno dei vitigni più versatili: dà origine a tre tipologie distinte di vino nell’ambito di una stessa denominazione: vino bianco fermo, spumante metodo classico e passito.
L’erbaluce ha la capacità di accumulare zuccheri fino a medie concentrazioni mantenendo un tenore acido notevole. L’elevata acidità naturale consente di ottenere un’ottima base spumante e dà ai vini la capacità di invecchiare. E’ inoltre ricco di estratto, ha potenziale alcolico medio basso, pochi aromi liberi, ma diversi precursori di aroma
L’erbaluce è dotata di una buccia spessa, croccante, resistente. Lo spessore della buccia comporta una buona resistenza agli attacchi fungini e un ottimo sviluppo in un ambiente umido come quello del Canavese e ci consente ottimi risultati con la pressatura diretta, necessaria per realizzare un’ottima base spumante.
Il grappolo inoltre si presenta mediamente spargolo, consentendo ottimi risultati con l’appassimento.

Il vigneto Erbaluce

Il vigneto di Erbaluce è tradizionalmente un vigneto coltivato in forma di pergola.

La pergola Canavesana o pergola di Caluso é una pergola a falda piatta di altezza compresa tra i 180 e i 200 cm. Il sesto di impianto medio è di 4 metri per 2. Che porta ad una densità di impianto di 1300 piante per ettaro.
La potatura tradizionale è detta «a tre punte» con tre capi a frutto con 10 gemme all’estremità. Vi é uno sperone, un capo a frutto, un capo a frutto di 2 anni e infine un terzo capo a frutto su un tralcio di tre anni.
Questo sistema comporta che tutte le principali operazioni in vigneto, potatura, potatura verde e vendemmia debbano svolgersi a mano.

Erbaluce di Caluso D.O.C.G

Il riconoscimento della denominazione avvenne nel 1967, fu tra i primi vini italiani ad essere tutelato.
Il riconoscimento della Denominazione di origine controllata e garantita è avvenuto con Decreto dell’8 ottobre 2010, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 248 del 22.10.2010

Il Neretto: “Un vino di profilo sensoriale … “

Il Neretto di San Giorgio (Nerèt ‘d San Giors) è un vitigno coltivato da molti secoli nel Canavese, in particolare nelle zone di San Giorgio, Bairo e Valperga. Un tempo molto diffuso, oggi la sua coltivazione è ridotta a pochi ettari: la sua produttività modesta e incostante, quindi poco redditizia, ne ha causato l’abbandono in favore di vitigni più produttivi. Si tratta di uno dei vitigni autoctoni più particolari. Non somiglia a nessun altro vino piemontese: rustico, erbaceo, con pochi tannini che lo rendono elegante e adatto all’invecchiamento. Il professor Vincenzo Gerbi lo definisce “un vino di profilo sensoriale più internazionale e meritevole di un’adeguata valorizzazione”. 

Neretto vineyard

La storia

La storia del Neretto è stata ricostruita dalla studiosa Enza Cavallero. Sui vini del Canavese, scrisse per primo Sante Lancerio, bottigliere del papa Paolo III Farnese all’inizio del XVI secolo. Di vitigni e non solo di vini scrisse, nel 1606, Giovanni Battista Croce, gioielliere di corte Savoia, indicando il Neretto fra le uve nere che crescevano “nella montagna di Torino”. Nel 1796, anche il conte Giuseppe Nuvolone, vice direttore dell’Accademia di Agricoltura di Torino, cita quest’uva. Ma bisogna attendere il 1833 per veder descritti accuratamente i vari Neretti del Canavese, opera del medico Lorenzo Francesco Gatta. Il Neretto di San Giorgio oggi è iscritto al Catalogo Nazionale delle Varietà di Viti e si può coltivare nelle province di Torino e Vercelli. È anche conosciuto con i sinonimi dialettali di ‘d Romen, Neretin, Pcit.

Il vitigno Neretto

Il Neretto è un vitigno che ha un ottimo sviluppo vegetativo, per questo necessita di forme di allevamento espanse e di una potatura lunga e ricca. Tuttavia, la produttività del Neretto non è mai molto elevata, soprattutto quando le vigne sono giovani o nelle annate più complesse, generalmente quelle in cui piove molto ai tempi della fioritura. È un’uva di ottima maturazione, poco acida e bene equilibrata. La maturazione del Neretto è media o medio-tardiva, contemporanea a quella dell’uva Barbera. A maturità, il grappolo è di medie dimensioni, cilindrico, compatto; il peduncolo ha media lunghezza. L’acino è medio/grande, ellissoidale, con una buccia abbastanza spessa e ricca di pruina, dal caratteristico colore blu/nero dalle sfumature grigiastre.

La leggenda delle “masche”

A quanto pare, nella cantina dei Ciech, come ai tempi si chiamava la nostra azienda, giravano donne che avevano fama di essere delle masche, le streghe che vivono nelle campagne e nei boschi piemontesi. Queste masche abitualmente, nel pieno della notte, si trovavano con il diavolo, tra i filari e la nebbia, per consumare momenti di passione che lasciavano i segni nel terreno. È proprio per coprire questi segni che le masche piantavano viti di Neretto, un’uva scura, elegante e polposa, che davano origine a vini di grande carattere e corpo.

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